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Everett, cacciato da Emily in Paris lavoro a nuovo film su Wilde
"Il mio coming out mi danneggiò la carriera ma non ho rimpianti"
(di Alessandra Magliaro) Shakespeare, l'Italia, Oscar Wilde: sono le grandi passioni di Rupert Everett, l'attore inglese che dai tempi di Another Country e Ballando con uno sconosciuto, passando per Rosi e Montaldo e ora Giulio Base che lo ha voluto nel ruolo di Caifa tra i protagonisti del film Il Vangelo di Giuda passato al festival di Locarno fuori concorso, ha un rapporto speciale con l'Italia. "Volevo essere Julie Andrews - racconta in una intervista all'ANSA in cui riparte dalle origini - Mary Poppins è stato il mio film del cuore, quello determinante per me". Cerca Everett di smaltire la delusione, premiato ospite a Marateale: "Sono stato fatto fuori da Emily in Paris e ancora non so perchè". L'attore interpretava il direttore di uno studio di interior design Giorgio Barbieri nell'episodio Tutte le strade portano a Roma. "Ho girato una scena nell'ultima stagione e mi hanno detto: 'Ci sentiamo l'anno prossimo'. Ho aspettato che mi chiamassero, ma alla fine la telefonata non è mai arrivata e mi hanno semplicemente licenziato. Per me è stata una tragedia. Sono stato a letto per due settimane perché non riuscivo a superarlo", spiega. "E' sempre molto difficile capire le dinamiche dello show business. Quando scrivono la sceneggiatura, pensano di volerti bene, ma poi le cose cambiano e decidono di far fuori il tuo personaggio e tu non sai perchè. Eppure di esperienza alle spalle ne ho molta". Fece clamore la dichiarazione di omosessualità, il coming out, nei primi anni '90, rimpianti? "Ebbe clamore sì e portò pregiudizio, non è stato facile andare avanti nella carriera, essere apertamente gay in un ambiente ipocrita come era ancora di più in quegli anni, mi ha tagliato fuori da molti lavori. Abitavo a Parigi, stavo scrivendo un romanzo, Hello, Darling, Are You Working?, e non volevo nascondermi, volevo vivere essendo me stesso". Everett si definisce un bulimico di lavoro: teatro, televisione, cinema, scrittura , "da giovane non ero così, ero ozioso. Il mio consiglio è che un attore giovane deve lavorare sempre, la carriera è un up and down e tu devi sempre fare sforzi per esserci, io ne faccio ora più di prima, ma sbagliavo". Felice dell'amore che l'Italia ha per lui - film come Gli occhiali d'oro di Giuliano Montaldo, Cronaca di una morte annunciata di Francesco Rosi aumentarono la sua popolarità negli anni '80 - Everett, che parla italiano, si è detto "onorato" di aver ispirato Tiziano Sclavi per i tratti di Dylan Dog che lo portarono poi ad interpretare Dellamorte Dellamore il film di Michele Soavi che ha festeggiato i 30 anni ed è un cult per gli appassionati del fumetto. "Sono stato felice di scoprire che il personaggio di Dylan Dog era un po' ispirato a me come mi confessò Sclavi", ricorda. Se deve scegliere un nuovo progetto "da sempre mi faccio guidare dal fatto che abbia una ambientazione storica, io vado pazzo per questo, la cosa che mi piace di più che sia teatro o cinema o televisione - è stato anche un apprezzato Sherlock Holmes, ndr - è scoprire la verità storica di un personaggio, il contesto, l'epoca". Poi certo resta Oscar Wilde, un autore britannico perseguitato per la sua omosessualità nell'Inghilterra della seconda metà dell'Ottocento e che per Rupert Everett è una figura quasi cristologica, un modello di culto. "Ho dedicato tantissimo a lui, in The Happy Prince - L'ultimo ritratto di Oscar Wilde nel 2018 ho scritto, diretto e interpretato la storia dei suoi ultimi anni nell'esilio di Parigi e il mio sogno, cui lavoro sempre, è di fare ancora un nuovo film su di lui".
R.Lee--AT
